a cura di Matteo Veronesi
Susana Chávez, quando, al principio del 2011, fu torturata e uccisa dalla malavita di Ciudad Juárez, che non poteva tollerare né il suo impegno per i diritti delle donne, né tantomeno il suo aperto lesbismo, stava per pubblicare Primera tormenta, che sarebbe stato il suo primo libro di versi. Alcuni testi si trovano nel blog omonimo; altri sono conservati, inediti, dagli amici, e si spera vedano un giorno la luce.
Al di là della tragicità e della nobiltà del suo martirio, Susana Chávez era – come mostrano le traduzioni che qui presentiamo, e che vanno ad aggiungersi a quelle già apparse su Sagarana ‒ una poetessa di valore, capace di fondere un’intensa sensualità, una accesa corporeità, ora sublimata ora degradata (le parole mute o taciute che vogliono disperatamente prendere vita sulle labbra della donna, le secrezioni fisiologiche che si fanno simbolo oggettivo e concreto di sensi di colpa, ombre e rimorsi da gettare, catarticamente, in pasto agli alebrijes, creature chimeriche ed augurali di un folclore messicano che celebra a suo modo le proprie Dionisie, i propri variopinti e grotteschi Misteri agresti), con le agudezas di una vena a tratti surreale e (a volte sinistramente) neobarocca, secondo un gusto tipico del Novecento latinoamericano.
Il deserto, come paesaggio e come immagine, come simbolo e condizione esistenziale, attraversa tutta questa poesia; la quale sembra a sua volta istituire, in sé, un sistema o un cortocircuito di spie semantiche, di allusioni celate e sottesi richiami, magari solo in parte consapevoli (è una poesia, per usare parole dell’autrice stessa, «abierta a la locura», non sottratta alla seduzione e all’insidia del dérèglement).
Il corpo stesso (corpo-parola, corpo come fonte e sede esso stesso del dire poetico, come fucina e nodo di ritmi e di vibrazioni ‒ proprio quel corpo che invece, insieme alla parola femminile, il machismo violento vorrebbe negare, occultare, dissolvere, seppellire nel silenzio, reificare, e infine, in casi estremi, annientare, ridurre ad ossame abbandonato, a residuo minerale confuso con il nulla di pietre e di sabbia) è deserto; deserto e silenzio, ma deserto-silenzio in cui la voce profetica della parola che grida e denuncia può risuonare (con un’eco, quasi, del profetismo biblico, della vox clamantis in deserto, secondo l’immagine di Isaia ripresa nel secondo Vangelo), facendo anche e proprio dell’isolamento e della marginalità in cui è stata relegata un spazio e una possibilità di libertà, di autonomia, di riscatto.
Certo, come diceva Fortini, la poesia «non muta nulla». Ma si può sperare che qualcuno ascolti questa voce desertica, che continua a risuonare, silenziosa, nel vuoto assoluto, nell’infinito cimitero dei senza nome, nel luogo-non-luogo in cui la “nuda vita” di chi non conta nulla si tramuta in “nuda morte”. «Nulla è sicuro, ma scrivi». (Matteo Veronesi)
EN EL ÁRBOL DE LA VOZ.
A ciegas la luz vela
y unos ojos se abren para siempre.
Hablo del corazón frente a la muerte,
en el árbol de la voz, con un labio de tierra y otro de noche,
con un corazón de polvo y otro de viento.
Hablo de este amor,
esta navegación entre la bruma,
este amor, este amor.
Cada silencio nos llevara a la palabra que nos refleja,
y en mí toma cuerpo tu soledad,
en tu mirada ausente se deshacen los astros.
A veces te descubro en el rostro que no tuviste,
en la aparición que no merecías.
Y el silencio levanta la cabeza y me mira.
Esta vez volvemos de noche,
los árboles han guardado sus pájaros,
el cansancio estira su lengua para cantarnos al oído.
La noche llego en tu corazón,
tus ojos se cerraron en la llegada del mundo.
Y sin embargo, de alguna manera, todos lo sabíamos,
y algo parte en dos la memoria,
algo parte en dos a la mujer que peina su alma antes
de entrar al lecho solitario,
y parte también el tiempo de la noche,
como el vaso que cae de la mano de algún niño
asustado,
algo parte en dos lo que estaba partido.
NELL’ALBERO DELLA VOCE
Veglia nelle tenebre la luce
e certi occhi si aprono per sempre.
Parlo del cuore di fronte alla morte,
nell’albero della voce, con un labbro di terra e un altro di notte,
con un cuore di polvere e un altro di vento.
Parlo di questo amore,
questa navigazione nella bruma,
questo amore, questo amore.
Ogni silenzio ci condurrà alla parola che ci specchi,
e in me prende corpo la tua solitudine,
nel tuo sguardo assente gli astri si dissolvono.
Talora ti scopro nel volto che non avesti,
nella parvenza che non meritavi.
E il silenzio leva il capo e mi guarda.
Stavolta torniamo nella notte,
gli alberi hanno serbato i propri uccelli,
il disgusto distende la lingua per cantarci all’orecchio.
La notte ti entro nel cuore,
i tuoi occhi si chiusero nella venuta del mondo.
E senza dubbio, in qualche modo, tutti lo sapevamo,
e qualcosa lacera la memoria,
qualcosa spacca in due la donna che si pettina l’anima
prima di entrare nel letto solitario,
e infrange anche il tempo della notte,
come il bicchiere che cade a un bambino spaventato ‒
qualcosa spezza ciò che già era spezzato.
******
Fantasmas
—-Sollozan.
Inundados en la certeza.
Entran en el aliento,
las palabras.
Singulto
—-Di spettri.
Sommersi di certezza.
Si insinuano nel fiato,
le parole.
******
LA RAIZ DE TU SALIVA
Poema a Arminé Arjona.
Ciertas palabras vendrán un día
a mover tu laberinto de imágenes
para robarle a el lecho tu cuerpo
estremeciendo otras palabras.
Tu pelo más largo atravesará el silencio
de un viento que levante el agua del mar
He escuchado tu rostro
solventar tus argumentos
donde hay frases de recuerdo
que peinan remolinos
Por eso escucho tus sitios
antes que mi frase se encorve
y tan sólo quede un zumbido
Ciertas palabras buscan tu boca
y devoran tu respiración
al sentirlas en la carne tomando vida,
ciertas frases te reconocen
contra ti misma. Por otra sangre,
por otros libros, por otras frases.
Amanece y te buscan luchando
doblando esquinas
rompiendo el vidrio de tu ventana,
están aquí como un fantasma
en busca de un deslumbrante nacimiento,
te aman y se dejan caer sobre ti
como un hombre cegado por el deseo
de tu cuerpo,
deseando tocar tu fondo
para producir el vértigo.
No quieren ser susurros
no quieren otro espejo,
quieren arrojarse a tus manos,
detener la noche,
separar tus muslos,
quieren romperse en tu voz,
para despertar la raíz de tu saliva.
Ciertas palabras te miran
como un niño perdido y lloroso,
ciertas palabras ven en ti su vuelo,
rondan el alrededor
de su propio deseo.
LA RADICE DELLA TUA SALIVA
Ad Arminé Arjona
Certe parole verranno un giorno
a smuovere il tuo dedalo di immagini
per strapparle al letto del tuo corpo
scuotendo altre parole.
Più lunga la tua chioma attraverserà il silenzio
di un vento che alza l’acqua del mare.
Ho ascoltato il tuo volto
risolvere i tuoi argomenti
dove ci sono frasi di ricordo
che pettinano vortici
Per questo ascolto i tuoi luoghi
prima che s’incurvi la tua voce
e solo resta un ronzio
Certe parole cercano la tua bocca
e divorano il tuo respiro
prendendo vita al sentirle nella carne,
certe frasi ti riconoscono
contro te stessa. Per altro sangue,
per altri libri, per altre frasi.
Si fa giorno e ti trovano a lottare
svoltare angoli
rompere il vetro della tua finestra,
stanno qui come un fantasma
che aneli ad una nascita lucente,
ti amano e si lasciano cadere su di te
come un uomo che accieca la brama del tuo corpo,
desideroso di toccare la tua profondità
per partorire la vertigine.
Non vogliono essere sussurri,
non vogliono altro specchio,
vogliono gettarsi nelle tue mani,
arrestare la notte,
aprire le tue cosce,
vogliono rompersi nella tua voce,
per svegliare la radice della tua saliva.
Certe parole ti guardano
come un bambino smarrito e lacrimoso,
certe parole vedono in te il proprio volo,
vagano ai margini del proprio desiderio.
SOMBRA DEL VIENTO
Sombra de ti en el viento,
un reflector en la niebla
donde el silencio encuentra el hilo,
el ruido exacto
El llanto de Judas
Aterra esta claridad
podrías acaso ver
mi resurrección inmovilizada
deseando un soplo de tu carne
para echar a volar la noche.
¿Qué estoy interrumpiendo?,
en dónde no titubean mis manos
Te llamo desde lejos
Riesgos desordenados, para tocar en el viento
esa enmudecida parte del cuerpo.
Te inventaba en una breve locura
y ahora comprendo que es tu cuerpo
la pendiente donde he de arrojarme al vacío.
OMBRA DEL VENTO
Ombra di te nel vento,
un faro nella nebbia
dove il silenzio trova il filo,
il suono esatto
Il pianto di Giuda
Atterra questa chiarità
potresti per caso vedere
la mia immobile risurrezione
desiderando un soffio della tua carne
per alzarsi in volo nella notte.
Cosa sto interrompendo?,
dove non hanno esitazione le mie mani.
Ti chiamo da lontano
Disordinati rischi, per toccare nel vento
questa parte del corpo ammutolita.
Ti inventavo in una breve follia
e ora comprendo che è il tuo corpo
il precipizio da cui gettarmi nel vuoto
SIN ROMPER LA MEMORIA
Donde
durmiente del desierto
tu flecha silencio
no me atraviesa.
Donde
con tus pies caminas
sin romper la memoria
SENZA SPEZZARE LA MEMORIA
Dove
dormiente del deserto
la tua freccia silenzio
non mi trapassa.
Dove
con i tuoi passi cammini
senza spezzare la memoria
CUERPO DESIERTO
Algunos cargan mi cuerpo desierto
tras su espalda
como si fuera el sendero
un día cruzado hacía mí.
Mientras, me mezclo inclemente
con cenizas de todas las calmas
convirtiendome en mar de tormentas,
de huesos perdidos.
En algo indistinguible,
mitológico,
aún más errante que CRISTO,
que el llanto.
Más insolente que la ceguedad,
más enfebrecido que miembro erecto de perro,
más cotidiano que la mano dentro
de la falda infantil,
más prestado que el dinero.
Me convierto en pena clavada
—————en carne vacía,
en perseguido persiguiéndote,
—————cavador de gritos,
en habitante
de este cuerpo
desierto.
CORPO DESERTO
Certuni caricano sulle spalle
il mio corpo deserto
come se fosse il sentiero
attraversato un giorno per arrivare a me.
Intanto, mi confondo inclemente
con cenere di tutte le quieti
tramutandomi in mare di tempeste,
di ossa disperse.
In qualcosa d’indistinto,
mitologico,
ancor più errante di Cristo,
del pianto.
Più insolente della cecità,
più febbrile del membro eretto di un cane,
più quotidiano della mano
tra gambe di bambina,
più prestato del denaro.
Mi tramuto in roccia immobile
————–in carne vuota,
in perseguitato che ti perseguita,
————–uomo che dissotterra le grida,
in abitante
di questo corpo
deserto.
LA TEJEDORA
Produce en el espejo aleteos de equilibrio,
nos duerme con su sonrisa
y despues a una niña
donde el silencio todo nocturno
se distingue con el desierto.
Teje virtud con el hilo de la palabra
hacia donde el dolor no se haga el tema perpetuo
avanzando a lo irreprimible.
Tierra húmeda
he aquí donde brota tu beso con diversos colores.
LA TESSITRICE
Suscita nello specchio pullulii d’equilibrio,
addormenta noi col suo sorriso
e poi una bambina
dove il silenzio avvolto dalla notte
si distingue con il deserto.
Tesse virtù con il filo della parola
fin dove il dolore non si fa tema perpetuo
spingendosi oltre il limite.
Terra umida
ecco dove germoglia il tuo bacio dai variegati colori.
SIESTA EN EL JARDÍN DE LOS ALEBRIJES SÉPTICOS
III
Arrojo los orines de mi deuda con dios
para envenenar a los que puedan ser sus cómplices,
Paso por la ausencia de seres susurrantes,
por no aplastarme por completo.
Los llevo de desdicha,
de gestos, inesperados
orines que humedecen el pecho
y se beben de mi mano,
que salen de mi boca suspendida
en la fijeza de su fuerza
los arrojo vencedora,
en un mutuo lenguaje con mi conciencia.
V
Las cucarachas son los réptiles de la lluvía
y la memoria-volatiza danzante
soy burguesa candil y olla
y reconozco la xilografía de mi vida sardinera,
sesgo inabordable la briaguez de las penas consonantes,
soledades de monolito perdido en sí mismo.
Qué le puedo entonces decir a los demás
de mi embalsamada palabra si poco sé de ella.
Tal vez que estaba durmiendo
y ahora la tengo ante mí
lepidosirena
————–saltando
————————atrayente
coqueteándole a mi silencio aquiesciente.
MERIGGIO NEL GIARDINO DELLE CHIMERE INFETTE
III
Getto le orine del mio debito con dio
per avvelenare i suoi possibili complici,
Attraverso l’assenza di sussurranti essenze,
per non farmi schiacciare fino in fondo.
Le porto per disgrazia,
per gesti, inattesi
orine che bagnano il petto
e si bevono dalla mia mano,
che escono dalla mia bocca sospesa
nella fissità della sua forza
le getto vittoriosa,
in dialogo con la mia coscienza.
V
Sono le blatte i rettili della pioggia
e la memoria è volatile, danzante
sono borghese fiammella e bollito
e riconosco la xilografia della mia vita oscura,
taglio inabbordabile la sobrietà delle pietre risonanti,
solitudini di monolite perduto in se stesso.
E allora cosa posso dire agli altri
della mia parola imbalsamata se poco so di lei.
Forse che ero persa nel sonno
e ora la tengo davanti a me
serpente d’acqua
——————–che balza
——————————fascinoso
beandosi del mio silenzio inerte.
(traduzione di Matteo Veronesi)
Categories: Mexican Poetry
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